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Gay & Bisex

Viaggio in treno Roma Genova


di DanyeleTR
24.05.2025    |    11.718    |    32 9.6
"Il mio cazzo colava, completamente ignorato, troppo preso dal piacere dietro di me per toccarlo..."
Il treno per Genova si allontanava dalla stazione con un sussulto metallico, lasciandosi alle spalle luci e rumori. Era notte fonda, l’interno quasi deserto, ogni carrozza un’isola di silenzio. Avevo vent’anni, e dentro di me bruciava quel desiderio crudo e famelico che sembra non spegnersi mai a quell’età. Un fuoco che mi ardeva addosso ogni volta che mi ritrovavo solo, come allora.
Il mio scompartimento era vuoto. Jeans aderenti, anche troppo, perizoma nero sotto, che abbracciava il mio sedere rotondo e alto come una promessa.
Mi piaceva il contrasto tra la mia figura morbida e femminile e l’ambiente duro e impersonale del treno notturno. C’era qualcosa di esibizionista e segreto in quella solitudine.
Seduto sul sedile, con le luci basse e il paesaggio che correva fuori, lasciai che la mia mano scivolasse tra le cosce. Le dita si insinuarono lentamente sotto l’elastico del perizoma, fino a sfiorare il buchetto sensibile che, già solo a quel tocco, si contraeva. Era stretto, caldo, e io lo conoscevo bene. Lo cercavo spesso. Iniziai a penetrarmi, prima con una, poi due dita. Gemetti piano, le labbra appena dischiuse, la testa rovesciata all’indietro.
Stavo godendo, senza ritegno. Avevo bisogno di sentirmi sporco, visto. E fu allora che accadde.
Uno scatto improvviso della porta. Mi voltai di scatto, le dita ancora dentro. Un uomo, sulla sessantina, era fermo sull’uscio che mi guardava.
Alto, spalle larghe, barba grigia, gli occhi di un azzurro sorprendente, pieni di qualcosa che non era stupore. Era desiderio. Puro.
Restò in silenzio qualche istante. Io, colto in flagrante, cercai di ritrarre la mano, abbassare la maglia. Ma lui alzò appena la voce, ruvida e ferma:
«No. Non ti nascondere adesso.»
Deglutii. Il cuore mi martellava nel petto.
Lentamente chiuse la porta, tirò la tendina e si sedette proprio davanti a me. Le sue ginocchia sfioravano le mie.
«Hai un bel culo, lo sai? Ti piace giocare così, da solo?»
Ci sapeva fare.
Non riuscii a rispondere. Il mio respiro era già tremante. Abbozzai un sorriso imbarazzato, ma dentro ero acceso come una brace.
«Continua» mi ordinò, sbottonandosi i pantaloni.
Il suo cazzo era molle, ma grosso, pesante, come una promessa.
Mi mancava il fiato dall'eccitazione.
«Dai, puttanella. Fammi vedere quanto ti piace. Sei arrapato come una cagna, vero?»
Quelle parole mi trafissero, mi si strinsero intorno al petto. Avrei potuto dire di no, scappare, coprirmi. Ma non ce la facevo, non lo volevo.
Volevo tutto. Volevo farmi usare. Sentirmi suo. Sentirmi una cosa sua.
Mi rimisi le dita dentro. Questa volta con più foga, mentre con l’altra mano mi masturbavo, gli occhi fissi nei suoi. Lui si accarezzava, il cazzo che cominciava a crescere nelle sue mani forti.
Si allungò verso me e mi infilò due dita in bocca mentre diceva
«Ti piace farti scopare, eh? Guardati… stai gocciolando. Vieni qui. Voglio sentire quella bocca.»
Mi fece inginocchiare davanti a lui. L’odore del suo corpo, della sua pelle, mi colpì dritto nei sensi. Forte, maschio, selvatico. Leccai piano il basso ventre, le sue cosce pelose, le palle gonfie. Ogni gesto era un atto di sottomissione consapevole, voluta.
Quando presi il cazzo in bocca, era già duro, pulsante.
Lo succhiai piano, poi più profondo. Mi faceva gemere solo l’idea di servire quel corpo. Mi prendeva per la testa, mi guidava, senza fretta ma con autorità.
«Brava puttanella. Così si fa.»
Mi tirò su per le braccia, mi fece girare. I jeans caddero sul pavimento del vagone. Il perizoma fu spostato di lato con un gesto secco.
«Ora ti rompo il culo, troietta!»
Il suo cazzo entrò dentro di me con forza, senza esitazioni.
Era spesso, pieno, pulsante, e ogni centimetro che affondava mi faceva tremare le gambe.
Mi aggrappai al bordo del sedile davanti a me, piegato, esposto, completamente suo.
Il perizoma scostato metteva in risalto quanto fossi aperto, pronto, voglioso di essere preso.
Ogni spinta era un ordine, ogni colpo un sì che urlavo dentro di me.
Lui gemeva a denti stretti, affondando sempre più.
Le sue palle toccavano il mio sedere.
«Così ti voglio… aperto, caldo, obbediente. Sei nato per farti scopare, eh?»
Annuii senza riuscire a parlare, mentre mi spingeva più in là, obbligandomi a poggiare le mani al vetro. Il mio respiro lo appannava.
Il porco disegnò un cazzo sul vetro e mi spinse la testa obbligandomi a leccarlo.
Il treno correva nel buio, e noi in quel piccolo scompartimento eravamo sospesi nel tempo.
Solo i nostri corpi parlavano.
Ogni colpo era un tuono. I suoi colpi si facevano più profondi, veloci, animaleschi. Le sue mani afferravano i miei fianchi, mi guidavano, mi dominavano.
«Guarda come lo prendi tutto, porca… lo stai succhiando col culo. Ti piace, eh?»
«Sì… sì…» riuscii a gemere, la voce spezzata.
Ero bagnato. Il mio cazzo colava, completamente ignorato, troppo preso dal piacere dietro di me per toccarlo. Sentivo i suoi peli contro la mia pelle, il suo ventre premuto contro il mio sedere ogni volta che affondava. Il perizoma, ormai zuppo, mi tagliava la pelle, ma non volevo che lo togliesse. Mi faceva sentire ancora più sottomesso.
«Dimmi che ti piace essere la mia troia.»
«Sì… sono la tua troia.. sfondami…»
Lo dissi con un filo di voce, ma con tutta la verità del mio corpo. Era quello che avevo sempre sognato: non dover scegliere, non dover controllare, solo godere e obbedire. Essere posseduto.
Il ritmo si fece più frenetico. Mi sbatteva forte.
Il suono della pelle contro pelle riempiva lo scompartimento. Io ansimavo, tremavo, ridevo, piangevo tra i gemiti.
Lo stavo adorando.
Poi, improvvisamente, si fermò. Rantolava, il cazzo ancora duro dentro di me. Mi strinse forte, premuto contro di lui.
«Sto venendo… stai fermo!»
Il suo cazzone tutto dentro, fiino alle palle. Un secondo dopo, sentii il calore esplodermi dentro. Un'ondata di piacere e umiliazione meravigliosa. Mi morsi il labbro per non urlare. Era come se il suo sperma mi stesse marchiando, rendendomi suo.
Rimase dentro per qualche istante, poi lentamente si ritirò. Io restai piegato, ansimante, i pantaloni alle caviglie, il sedere ancora esposto, tremante.
Mi disse «Resta così e non guardarmi, puttanella!»
Poi si pulì con calma, si rivestì senza dire una parola.
Solo prima di uscire, si chinò e mi sussurrò all' orecchio:
«Sei stato perfetto. Una vera troia da treno.» e mi mollò un ceffone forte sulle chiappe nude.
E se ne andò, lasciandomi lì, col segno delle sue dita sul culo, ancora col suo seme dentro di me.
Solo. Sporco. Felice.
Attesi ancora qualche secondo poi mi sedetti, ancora scosso. Tirai su i pantaloni piano, ma il mio cazzo era ancora duro, gonfio, affamato.
Lo presi in mano, sentendo ancora le sue dita su di me, la sua voce nella testa. E venni in pochi secondi, spargendo il mio piacere sulle dita, sullo stomaco, gemendo piano contro il vetro.
Il treno continuava a correre nel buio.
Ma io, quella notte, ero già arrivato a destinazione
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